Appunti di neurobiologia della
schizofrenia
GIUSEPPE
PERRELLA
NOTE E NOTIZIE - Anno XX – 16 settembre
2023.
Testi
pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di
Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie
o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati
fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui
argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Premessa. Mi è stata chiesta un’introduzione sintetica,
chiara e accessibile alla neurobiologia della schizofrenia, senza cenni
storici, illustrazioni dei metodi e dei problemi della ricerca o riferimenti
alle questioni controverse; sostanzialmente un focus sulle principali
acquisizioni recenti, che possa aiutare anche coloro che approcciano per la
prima volta questi studi a formarsi un’idea generale su ciò che si conosce, e a
disporre di un quadro di riferimento per poter collocare i risultati dei nuovi
studi presentati su questo sito. Ho aderito con piacere alla richiesta e, vista
la necessità di essere essenziale, ho scelto lo stile degli “appunti”.
La schizofrenia come disturbo
neuroevolutivo. Alcune alterazioni strutturali e molecolari del
cervello associate alla schizofrenia sono state ricondotte all’epoca dello
sviluppo fetale del sistema nervoso centrale e, in quanto non si evolvono
necessariamente nell’endofenotipo patologico del disturbo, sono generalmente
considerate “anomalie predisponenti”. Tale definizione convenzionale riguarda
soprattutto le alterazioni anatomiche.
Durante la gestazione, fattori ambientali quali
infezioni, stress, tossine o deficit nutrizionali possono interagire con
i geni accrescendo la probabilità che nel feto si abbiano alterazioni della
neurotrasmissione e della formazione di reti neuroniche importanti per funzioni
cognitive e affettivo-emozionali. Nel corso dell’embriogenesi, il modo in cui
si sviluppano i circuiti della corteccia prefrontale importanti per le funzioni
esecutive del cervello e per il pensiero è alterato; le anomalie di
tali circuiti causano un deficit di working memory tipico dei pazienti
schizofrenici, e si ritiene siano all’origine di altri sintomi.
Per rendersi conto di quanto tale difetto possa
incidere sui processi cognitivi, basta pensare che la working memory o memoria
di funzionamento assicura, momento per momento, la ritenzione di ciò che
sta accadendo, ciò che si dice, ciò che si ascolta, ciò che si legge, consentendo
di mantenere un filo logico di continuità nella successione di fatti, di
pensieri, di idee e di frasi. Un difetto di questo processo di conservazione
temporanea dell’informazione compromette o riduce la capacità di seguire un
ragionamento o comprendere un testo scritto, ma anche di rendersi conto bene di
cosa accada intorno a sé, in un ambiente sociale attivo o complesso. L’esperienza
clinica ci dice che i pazienti con questo tipo di deficit hanno difficoltà a
pianificare la giornata e a svolgere quasi tutti i tipi di lavoro.
La working memory continua a svilupparsi dall’infanzia
alla prima giovinezza, facendo registrare un progressivo aumento dello span
o capacità ritentiva e assicurando un miglioramento di prestazione ai test
di misura specifici (es.: compito alterno). I bambini che riceveranno
una diagnosi di disturbo schizofrenico alla fine dell’adolescenza o durante la
giovinezza, a sette anni presentano una working memory normale; ma già
intorno ai tredici anni le loro prestazioni sono molto al di sotto della media
per età.
Difetti morfologici microscopici e
macroscopici del cervello schizofrenico. Associate
a questo difetto di working memory si rilevano alterazioni dei neuroni
piramidali della corteccia prefrontale, fondamentali nei processi di
ritenzione a breve termine dell’informazione. La maggior parte delle numerosissime
sinapsi delle cellule piramidali corticali è localizzata presso le spine
dendritiche ed è costituita da giunzioni di assoni afferenti all’arborizzazione
dendritica piramidale; la massima parte delle spine forma il comparto
post-sinaptico di una giunzione, per questa ragione il numero delle spine
dendritiche di un neurone piramidale si considera una misura approssimativa
della sua quantità di connessioni e, soprattutto, della ricchezza di
informazione che riceve.
Le spine dendritiche cominciano a formarsi, nei neuroni
piramidali della corteccia, durante il terzo trimestre di gravidanza. Dopo la
nascita e durante i primi anni di vita il numero delle spine dendritiche e
delle sinapsi si espande rapidamente. Questo ritmo di crescita è impressionante
e, come è noto, il cervello di un bambino di 3 anni contiene il doppio delle sinapsi
di un cervello adulto. Dopo questa esplosiva moltiplicazione, interviene un
processo di selezione in gran parte competitiva, che si sviluppa come una
potatura (pruning).
Intorno all’epoca della pubertà ha inizio un
processo di pruning sinaptico che efficientemente rimuove le sinapsi non
funzionanti, comprese quelle che di fatto non intervengono a supporto della
memoria di funzionamento. Durante l’adolescenza e fino all’inizio dell’età
adulta, questa eliminazione di sinapsi, formate dalle spine dendritiche dei
neuroni piramidali corticali con i terminali assonici afferenti, diventa particolarmente
intensa ed efficace.
Nella schizofrenia, il processo di selezione
sinaptica per eliminazione risulta notevolmente alterato a partire dall’adolescenza:
il pruning non è appropriatamente selettivo e causa una massiccia perdita
di spine dendritiche con le annesse sinapsi. Conseguentemente, i sistemi
neuronici connessi con le cellule piramidali della corteccia prefrontale,
importanti per la working memory e numerosi altri processi cognitivi,
perdono drasticamente spine dendritiche, connessioni sinaptiche e informazione
afferente. Irwing Feinberg, attualmente all’Università della California a Davis,
ha avanzato per primo l’ipotesi che questa eliminazione eccessiva costituisca
il processo principale nella patogenesi della schizofrenia[1]; David
Lewis e Jill Glausier dell’Università di Pittsburgh hanno fornito molte
evidenze a supporto di questa interpretazione e, facendo il punto dei risultati
sperimentali a distanza di ventitré anni, hanno confermato la tesi di Feinberg[2].
Intanto, numerosi studi hanno documentato anche per
i neuroni piramidali dell’ippocampo – un importante hub per l’apprendimento
e la formazione di memorie esplicite – una simile perdita di sinapsi delle
spine dendritiche.
Da tempo i ricercatori si chiedono per quale ragione
vi sia nel cervello schizofrenico questa eliminazione eccessiva. David Lewis ha
seguito questo ragionamento per formulare un’interpretazione estesamente
accettata dalla comunità neuroscientifica: il pruning sinaptico ha il
fine di liberare l’economia energetico-metabolica del cervello dal peso di
dendriti superflui perché non funzionanti, dunque l’eccesso di eliminazione
potrebbe derivare non da un errore di potatura che eliminerebbe sinapsi attive,
ma da un numero patologicamente alto di dendriti inattivi. Se le cose stanno
così, come sembrano dimostrare le osservazioni sperimentali, allora bisogna
identificare il fattore che impedisce ai neuroni piramidali di ricevere
un flusso di segnali sensoriali sufficiente a mantenere attivi i dendriti, con
le loro sinapsi sulle spine.
Considerando i neuroni piramidali della corteccia
prefrontale, si è individuato il responsabile di un basso flusso di segnali
sensoriali nel talamo, la grande formazione grigia che elabora e invia
alla corteccia l’informazione sensoriale. Il difetto del talamo nella
schizofrenia è stato attribuito a perdita di neuroni. Questa traccia ha ispirato
studi che sono andati a ricongiungersi con quelli che misurano la volumetria, le
connessioni e la connettività funzionale nel cervello schizofrenico.
Varie stime di misura hanno effettivamente rilevato
che il talamo dei pazienti affetti da schizofrenia è di minori dimensioni del
talamo delle persone non affette, fungenti da controllo.
Sono già sufficienti questi elementi per rilevare
una differenza concettuale importante tra la base neurobiologica della
schizofrenia e quella dei disturbi dell’umore: mentre in depressione e disturbo
bipolare è stato individuato un difetto funzionale spesso reversibile, caratterizzato
da circuiti perfettamente strutturati che funzionano in modo non corretto,
nella schizofrenia, come nei disturbi dello spettro dell’autismo, si rileva un difetto
anatomico dovuto ad una patologia dello sviluppo che comporta alterazioni
morfologiche di formazioni, strutture, reti e circuiti[3].
La tradizionale descrizione anatomopatologica del
cervello schizofrenico, basata su indagini post-mortem e caratterizzata
dalla riduzione della materia grigia[4], ha
ricevuto conferma dagli studi realizzati con metodiche di neuroimmagine
funzionale.
La riduzione di spessore degli strati della corteccia
temporale e parietale è stata rilevata e misurata in numerosi studi,
così come la diminuzione di volume dell’ippocampo. Complessivamente si ha
una riduzione volumetrica di tutto il parenchima cerebrale che, anche se non
raggiunge il livello dell’atrofia, è sufficiente a indurre una risposta
compensativa, consistente nell’espansione delle camere ventricolari,
particolarmente dei due ventricoli laterali. Questo aumento del fluido
cefalo-rachidiano (liquor) è proporzionale alla riduzione della
corteccia sovrastante.
Tutte queste alterazioni morfologiche, così come l’eccessiva
eliminazione di sinapsi, sono state rilevate in fase iniziale precocemente
nella vita delle persone che hanno poi ricevuto la diagnosi di disturbo
schizofrenico, suggerendo un loro ruolo causale nello sviluppo delle
manifestazioni cliniche[5]. Le
anomalie anatomiche sono state poste soprattutto in rapporto con i sintomi cognitivi
della psicosi[6].
Per oltre quarant’anni le teorie eziopatogenetiche
della schizofrenia sono state dominate dall’ipotesi dopaminica, avanzata sulla
base dell’efficacia dei farmaci neurolettici, a partire dal Largactil, ad
azione anti-dopaminergica, pertanto si è privilegiato per decenni lo studio dei
sistemi neuronici segnalanti mediante dopamina. Gli stessi fattori che ho
menzionato in precedenza (infezioni, stress, tossine o deficit
nutrizionali) possono interagire con i geni durante lo sviluppo embriogenetico
accrescendo la probabilità che il feto sviluppi malfunzionamento delle vie
nervose dopaminergiche, come è stato dimostrato in numerosi studi.
La glia partecipa alla neuropatologia della
schizofrenia con anomalie molecolari che interessano tanto oligodendrociti e
mielinizzazione, quanto astrociti e regolazione sinaptica.
Appunti di biologia molecolare
della schizofrenia. Un’ipofunzione di una sub-popolazione dei recettori
NMDA del glutammato, il neurotrasmettitore eccitatorio quantitativamente
più importante del sistema nervoso centrale, si ritiene possa contribuire all’endofenotipo
della schizofrenia. La tesi, confermata da alterazioni sperimentali che inducono
sintomi psicotici e da studi genetici e post-mortem, è supportata dall’evidenza
che la perturbazione della modulazione dei sub-tipi dei recettori NMDA è
associata alla sintomatologia. Su questi presupposti sono state studiate varie
molecole fisiologicamente legate ai recettori NMDA. Le subunità NR1 e NR2B sono
ridotte nel talamo dei pazienti schizofrenici[7]. In due
campioni numerosi di affetti dal disturbo, nella corteccia prefrontale è stata
riscontrata in NR1 una ridotta fosforilazione della serina 897, con conseguente
compromissione della funzione dei recettori NMDA[8].
Sono stati studiati, in rapporto agli NMDA, il NO,
la cui sintesi è in parte guidata da questi recettori, i trasportatori del
glutammato EAAT1 e EAAT2 e le neureguline, proteine di segnalazione
cellula-cellula che sono ligandi del recettore della tirosinchinasi della
famiglia Erb, e le cui alterazioni comportano indebolimento della funzione NMDA.
L’ipotesi dell’eziopatogenesi dopaminica della
depressione e gli studi di psiconeurofarmacologia sui farmaci antipsicotici
hanno promosso decenni di studi su tutte le principali molecole proteiche delle
vie di segnalazione dopaminergica. In particolare, i recettori D1, D2, D3 (D2-simile),
D4 (D2-simile) e D5 (D1-simile), sono stati studiati sia in rapporto a loro
alterazioni funzionali associate all’iperfunzione dopaminergica nella schizofrenia,
sia in termini di affinità a ligandi diversi dalla dopamina: ad esempio, il
recettore D4 differisce da D2 e D3 per la sua affinità straordinariamente alta
per la clozapina e altri antipsicotici atipici.
L’inattivazione della dopamina extracellulare nella
VTA e in altre aree dell’encefalo è prevalentemente affidata alla COMT: gli
schizofrenici con la variante COMT cosiddetta “a valina” presentano maggiore
gravità di deficit cognitivi di quelli portatori della variante con metionina (valina-158-metionina).
Gli interneuroni GABAergici, ossia i neuroni
inibitori più rappresentati nell’encefalo (nel midollo spinale prevale la
glicina come neurotrasmettitore inibitorio), sono meno numerosi nella corteccia
prefrontale degli schizofrenici e, conseguentemente, in termini molecolari si
rileva una ridotta espressione dei marker presinaptici, quali la
decarbossilasi GAD e il trasportatore GAT-1. La riduzione di queste due
proteine è stata osservata in particolare nelle cellule a candelabro
degli strati intermedi della corteccia cerebrale. In una sottopopolazione di
pazienti schizofrenici è stata documentata la perturbazione della migrazione
fetale dei neuroni GABA nella corteccia frontale, processo che ha luogo nel
secondo trimestre di gestazione. Da oltre tre lustri si pubblicano studi i cui
risultati dimostrano che le alterazioni delle vie GABAergiche nell’encefalo
schizofrenico sono la conseguenza delle alterazioni della segnalazione eccitatoria
glutammatergica e, in particolar modo, dei recettori NMDA.
Il sistema relina/integrina modula lo
sviluppo corticale iniziale, in particolare la migrazione neuronica. Il difetto
di relina[9] negli
schizofrenici, rilevato da vari gruppi di ricerca, è stato ricollegato al
difetto di interneuroni GABAergici, perché virtualmente tutti questi neuroni inibitori
esprimono relina.
Il quarto sistema neurotrasmettitoriale studiato e
trovato alterato nella schizofrenia è il sistema colinergico. Un locus
sul cromosoma 15q13 è stato da tempo associato all’accresciuta probabilità di sviluppare
la malattia. Questa regione contiene il gene per il recettore α-7
nicotinico (CHRNA7); una variante allelica nella regione del promotore di CHRNA7,
che riduce l’espressione del recettore, è associata a un più alto rischio di
schizofrenia e anomalie di P50.
Un lungo elenco di macromolecole proteiche risulta diminuito
nel cervello degli affetti dal disturbo schizofrenico: in parte sono molecole
di trasduzione del segnale intracellulare, in una proporzione minore si
tratta di proteine implicate in strutture fondamentali o in funzioni
della cellula nervosa.
L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e
invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del
sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giuseppe Perrella
BM&L-16 settembre 2023
________________________________________________________________________________
La Società Nazionale
di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience,
è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data
16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica
e culturale non-profit.
[1]
Irwing Feinberg, Cortical Pruning and the Development of Schizophrenia. Schizophrenia
Bulletin 16 (4): 567-568, 1990.
[2] Glausier J. R., and Lewis D. A., Dendritic Spine Pathology in
Schizophrenia. Neuroscience 251: 90-107, 2013.
Per
dettagliare altri aspetti interessanti del pruning eccessivo, sarebbe
necessario introdurre nozioni di genetica.
[3] Se si prendono in considerazione
le alterazioni di morfologia microscopica descritte nella depressione o i casi
di quelle donne in cui il disturbo dell’umore è associato a un emisfero di ridotte
dimensioni in corrispondenza del polo posteriore, con il lobo occipitale
controlaterale che attraversa la linea mediana e lo ingloba, allora la
distinzione è meno netta. Tuttavia, la maggior parte dei ricercatori ritiene
che i criteri clinici per la diagnosi dei disturbi depressivi (DSM-5) includano
casi che, su base neurobiologica, non apparterrebbero alla stessa categoria.
[4] Il primo studio che documentava in
modo certo l’assottigliamento della corteccia cerebrale nel cervello degli affetti
da psicosi schizofrenica risale ad Alois Alzheimer.
[5] Il dubbio che la perdita di
neuroni e sinapsi fosse la conseguenza della fisiopatologia del cervello
schizofrenico, piuttosto che la causa, ha tenuto banco per quasi un secolo, sicuramente
fino a quando lo studio istologico post-mortem rappresentava l’unica
fonte di dati. Le metodiche di neuroimmagine in vivo hanno consentito di
documentare i difetti prima dell’esordio clinico; tuttavia, i tratti
neuropatologici peggiorano negli anni ed è stato dimostrato anche il contributo
neurolesivo della farmacoterapia cronica ad alto dosaggio.
[6] Si ricorda che, in termini di
semeiotica psichiatrica, le manifestazioni cliniche del disturbo schizofrenico sono
distinte in sintomi positivi, sintomi negativi e sintomi cognitivi.
[7] È stata trovata anche una
riduzione delle proteine PSD95, SAP102 e NF-L, costituenti la densità
post-sinaptica, ma questa riduzione è stata rinvenuta nel disturbo bipolare.
[8] Li B., et al. Journal
of Neuroscience 29, 11965-11972, 2009. Si ricorda che negli astrociti sono
espresse molte proteine che modulano i recettori NMDA.
[9] Il nome relina, reelin in inglese, viene dal verbo to reel che vuol dire vacillare, barcollare, ed è stato
impiegato in quanto gli animali con deficit di questa proteina presentavano un’andatura
barcollante.